Sin qui parrebbe che il potere sovrano di emettere moneta, essendo stato delegato ad un istituto di diritto pubblico, continui ad appartenere allo Stato e che sempre allo Stato vada il c.d. reddito da signoraggio. Ma non è così.
Per vedere come questo non corrisponda al vero è nenessario andare ad analizzare lo statuto della Banca D’Italia, il suo funzionamento e le sue “anomalie”:
I° Anomalia
I principali compiti, e funzioni, che la legge del 1936 affida alla Banca d’Italia sono:
• Istituto di emissione. (Anche se, come vedremo dopo, dal 1° gennaio 2002, con il Trattato di Mastricht, l’emissione delle banconote in euro aventi corso legale in Europa è compito della Banca centrale europea);
• Gestione della tesoreria provinciale dello Stato;
• Funzione di vigilanza sul sistema creditizio
L’organizzazione interna ricalca sostanzialmente quella che è propria di una società per azioni.
Così vi troviamo:
Così vi troviamo:
• un capitale sociale, suddiviso in quote detenute di partecipanti;
• un consiglio di amministrazione;
• un collegio sindacale;
• gli Organi Amministrativi e di Controllo, come avviene nelle società per azioni,sono nominati dall’assemblea Generale dei “partecipanti”: in particolare il Consiglio Superiore, che poi provvede a nominare tra i propri componenti il Comitato, il Governatore, il direttore Generale e i due vice Direttori Generali[1];
• I portatori delle quote si riuniscono annualmente in assemblea generale ordinaria.
Inoltre i partecipanti, come gli azionisti di una società per azioni, hanno diritto;
• al rendiconto annuale della gestione sulla base del bilancio (da sottoporsi all’approvazione dell’assemblea);
• alla partecipazione all’utile della gestione;
• ai frutti derivanti dall’investimento delle riserve del patrimonio netto.
Questa analisi non ci porta ancora a privare la Banca D’Italia della qualifica di ente pubblico. Infatti, come ribadito anche dalla Cassazione, un ente si definisce pubblico quando, pur essendo privatizzato, ha un fine pubblico e un sistema di controlli pubblici. Ma la Banca d’Italia risponde a tali requisiti? Sul fine pubblico nulla questio, trattandosi di un istituto di emissione; il problema sono i controlli da parte dello Stato che nella sostanza non esistono. Questo perché gli organi amministrativi e di controllo della Banca d’Italia sono nominati dall’Assemblea Generale dei partecipanti (che sono al 95% dei privati). Il Governo può solo
approvare la nomina, o la revoca, di alcune cariche, ma l’approvazione da parte del Governo non influisce minimamente sulla validità della nomina. In soldoni è come se non esistesse.
In conclusione, la Banca d’Italia è un ente privato, strutturato come società per azioni, a cui è affidata, in regime di monopolio, la funzione statale di emissione di carta moneta, senza controlli da parte dello Stato.
II° Anomalia
La Banca D’Italia abbiamo detto è per il 95% in mano a privati. Essi sono:
Gruppo Intesa (27,2%), BNL (2,83%)
Gruppo San Paolo (17,23%) Monte dei Paschi di Siena (2,50%)
Gruppo Capitalia (11,15%) Gruppo La Fondiaria (2%)
Gruppo Unicredito (10,97%) Gruppo Premafin (2%)
Assicurazioni Generali (6,33%) Cassa di Risparmio di Firenze (1,85%)
INPS (5%) RAS (1,33%)
Banca Carige (3,96%) privati (5,65%)
Dall’analisi dei soci ci rendiamo conto che solo il 5% del capitale è dell’INPS, ovvero di una società pubblica[2].
Dunque la banca D’Italia è per il 95% in mano a banche private. Ma qui risulta evidente la seconda forte anomalia. Infatti abbiamo detto che con la legge bancaria del 1936 a Banca D’Italia è stato demandato il compito di vigilanza sulle altre banche. Ora, le banche sono proprietarie della Banca che dovrebbe su di loro vigilare ed, attraverso i consigli di amministrazione, nominano Governatori e Direttori; ciò vuol dire, in altre parole, che i controllati controllano i controllori, e non vicerversa.
III° Anomalia
Vediamo perché:
In base all’art. 54 la quota di utili da assegnare allo Stato corrisponde circa al 50% dell’Utile di Esercizio del Bilancio Annuale, dedotto il 40% accantonato a riserve e il 10 % del capitale sociale attribuiti ai partecipanti.
L’art. 56, inoltre, prevede che una quota, a valere sul fruttato delle riserve medesime, sia distribuita ai partecipanti al capitale sociale (come annualmente deliberato dall’assemblea).
Analizziamo nei fatti le conseguenze di queste norme. Come sottolinea la CTU redatta dal perito nella sentenza n. 2978/05 del giudice di pace di Lecce, nella causa sul signoraggio, l’accantonamento dei frutti delle riserve (e l’assegnazione di parte di essi ai partecipanti) determina una incremento (e una decurtazione) delle riserve stesse quale partita negativa del conto economico e, pertanto, il risultato di esercizio è rappresentato in bilancio al netto
di tale posta.
Gli accantonamenti a riserve generano patrimonio e frutti ad esclusivo vantaggio dei partecipanti al capitale sociale dell’Istituto e, per converso, rappresentano un reddito sottratto alla competenza dello Stato.
Inoltre, la quota di riserve attribuita annualmente ai partecipanti (quota stabilita in assoluta autonomia dal Consiglio di Amministrazione della Banca d’Italia), ai sensi dell’art. 56 dello Statuto, è sovente sensibilmente superiore alla quota di utile assegnata allo Stato (ad esempio nel 2003 al netto degli accantonamenti a riserve, sia
stato corrisposto un dividendo per ogni quota di partecipazione unitaria pari a circa il 300% del valore della stessa.
Dividenti andati tutti a privati (le banche) e che formano il debito pubblico).
Insomma è evidente come la Banca D’Italia assolva ai fini che dovrebbero essere di natura pubblica in piena autonomia e indipendenza, ritraendone utili e frutti che divide tra i “partecipanti” privati.
Quindi, ricapitoliamo:
• la Banca D’Italia è una società privata, detenuta per il 95% da privati;
• gli Organi Amministrativi e di Controllo della Banca d’Italia, come avviene nelle società per azioni, sono nominati dall’assemblea Generale dei “partecipanti” (cui il 95% sono privati): in particolare il Consiglio Superiore, che poi provvede a nominare tra i propri componenti il Comitato, il Governatore, il direttore Generale e i due vice Direttori Generali;
• con la legge 82 del 07.02.1992 varata dal ministro del Tesoro Guido Carli (già governatore della Banca d’Italia), è stata attribuita alla Banca d’Italia la facoltà di variare il tasso ufficiale di sconto senza doverlo più concordare con il Tesoro. Ovvero autonomamente un gruppo di banche private decide per lo Stato italiano il costo del denaro.
• Annualmente, il Consiglio di Amministrazione, autonomamente eletto (dai soci privati), stabilisce quote di riserva variabili che, spesso, producono una quota di utili superiore alla quota di utili che viene data allo Stato
• tali utili (risultato degli interessi sul prestito) la Banca d’Italia li distribuisce tra i
suoi soci che sono al 95% privati;
• gli utili distribuiti alle banche private costituiscono un debito contratto dallo Stato e vanno ad incrementare il debito pubblico.
Stante la situazione appena descritta appare chiaro che la sovranità monetaria è esercitata da una società a capitale privato con scopo di lucro che decide in piena autonomia il costo del denaro[5].
Da questi elementi può affermarsi che lo Stato, da tempo, ha ceduto la propria sovranità monetaria in favore di un ente privato (non certo pubblico), ovvero la Banca d’Italia.
Fonte : Violazioni costituzionali nell’esercizio della politica monetaria di Solange Manfredi
http://felicitaannozero.altervista.org/doc/violazioni_costituzionali_e [1] Il Governo, come stabilisce la legge, può solo approvare la nomina, o la revoca, di alcune cariche, ma l’approvazione da parte del Governo non influisce minimamente sulla validità della nomina, al massimo può influire sull’efficacia.
[2] Preme rilevare a questo punto che sino a pochi mesi fa l’art. 3 dello Statuto proibiva la cessione a privati di quote azionarie della BdI e prescriveva che fosse, per la maggioranza, in mano pubblica. Ora, grazie anche alle varie cause promosse da diversi cittadini contro Banca D’Italia con modalità prettamente italiana si è modificato l’articolo 3 dello Statuto cancellato quella fastidiosa frase che imponeva che la maggioranza fosse in mano pubblica
[3] ART. 54 - Ogni anno devono essere fatti il bilancio e l’inventario dell’attivo e del passivo dell’Istituto. Deve essere pure fatto il conto dimostrativo dei profitti, delle spese e delle perdite dell’esercizio annuale. I profitti sono quelli conseguiti durante l’anno tanto dalle operazioni ordinarie quanto da quelle straordinarie e dai ricuperi sulle sofferenze ammortizzate. Le spese comprendono quelle di ordinaria amministrazione, quelle per rifornimento della riserva metallica, quelle per l’emissione dei biglietti al portatore e simili, le tasse e gli altri oneri prescritti dalle leggi, e le somme eventualmente erogate a scopo di beneficenza o per contributi a opere di interesse pubblico nei limiti annualmente fissati dal Consiglio superiore. Alle dette spese devono aggiungersi, per accertare l’ammontare degli utili netti disponibili,anche le sofferenze dell’esercizio, gli occorrenti ammortamenti ed oneri consimili nonché lerate di ammortizzazione delle spese che il Consiglio superiore giudicasse ripartibili in più esercizi. Gli utili netti, conseguiti secondo il bilancio approvato, dopo di avere da essi prelevata la somma che il Consiglio superiore crederà di stabilire per la graduale costituzione di un fondo di riserva ordinaria fino a concorrenza del 20% degli utili netti, sono assegnati ai partecipanti, per la distribuzione di un dividendo fino ad una somma pari al 6% del capitale. Col residuo, sempre su proposta del Consiglio superiore, possono essere costituiti eventuali fondi speciali e riserve straordinarie mediante utilizzo di un importo non superiore al 20% degli utili netti complessivi e può essere distribuito ai partecipanti, ad integrazione del dividendo, un ulteriore importo non eccedente il 4% del capitale. La restante somma è devoluta allo Stato, in applicazione dell’art.3 del Decreto ministeriale 31 dicembre 1936 emanato in esecuzione del R. decreto-legge 5 settembre 1935, n. 1647. La riserva ordinaria, se diminuita per ammortizzazione di perdite o per qualsiasi altra ragione, deve, salvo il disposto del successivo art. 56, essere al più presto interamente reintegrata.
[4] ART. 56 - Dai frutti annualmente percepiti sugli investimenti delle riserve, può essere, su proposta del
Consiglio superiore e con l’approvazione dell’assemblea ordinaria, prelevata e distribuita ai partecipanti, pro quota delle singole partecipazioni, in aggiunta a quanto previsto dall’art. 54, una somma non superiore al 4% dell’importo delle riserve medesime, quali risultavano dal bilancio approvato nell’assemblea ordinaria dell’anno precedente.
[5] Infatti con la legge 82 del 07.02.1992 varata dal ministro del Tesoro Guido Carli (già Governatore della Banca d’Italia), è stata attribuita alla Banca d’Italia la facoltà di variare il tasso ufficiale di sconto senza doverlo più concordare con il Tesoro.
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